L’assalto di Capitol Hill e il precedente spagnolo dell’81.Trump scampa l’impeachment, Tejero fu condannato a 30 anni
Concluso senza impeachment per Trump il procedimento del Congresso americano, grazie ai soli 7 deputati repubblicani che hanno votato a favore con i democratici, facciamo un salto indietro al 23 febbraio 1981, nell’unico precedente di un assalto a un Parlamento riunito che si ricordi.
Giusto 40 anni fa, Mimmo testimoniò in alcuni reportage da Madrid il tentato golpe del colonnello Tejero in Spagna. L’uomo fu poi condannato a 30 anni di reclusione, e rimase nella prigione di Alcalà de Henares fino al 2 dicembre ’96. Uscito in libertà condizionale, espulso dall’esercito, ha 88 anni e vive non lontano da Madrid. Pubblichiamo da La Stampa i due articoli di Mimmo sugli eventi di quella notte.
Il colonnello Tejero a Madrid il 23 febbraio 1981 (Da “La Stampa”):
L’uscita dei deputati dalle Cortes, ieri poco dopo mezzogiorno, è stata accolta da grida di «Viva Espana, viva la democrazia». Le facce erano stanche ma sorridenti; c’è stato un gran giro di abbracci. Il ministro Fernandez Ordonez dice: «Ho passato notti migliori di questa» poi si ferma un’attimo a guardare i giornalisti e aggiunge: «Ma la compagnia era molto piacevole».
Il solo a non prendersi applausi è stato il colonnello golpista Antonio Tejero Molina, uscito dalle Cortes pochi minuti minuti prima di mezzogiorno e portato, dentro un’auto scura, al comando generale della Guardia Civil. Quando aveva assaltato le Cortes, sorprendendo con i suoi uomini i poliziotti di guardia al parlamento, aveva ben altre speranze. Assunto il controllo del palazzo e fatti stendere a terra i deputati, s’era avvicinato al microfono dello speaker con viso sorridente. Molto cortese aveva salutato: «Buon pomeriggio, signori», e muovendo la pistola che forse aveva dimenticato in mano, aveva aggiunto: «Prego tutti di star calmi; in pochi minuti — un quarto d’ora al massimo — riceveremo le disposizioni delle autorità competenti». Autorità militari, naturalmente.
Tejero è uno che con i golpe ha qualche dimestichezza. Tre anni fa venne implicato in un tentato assalto alla presidenza del Consiglio, ma se la cavò con un incredibile condanna a sei mesi. È descritto come un franchista convinto, romanticamente reazionario, ma da questa storia non esce poi tanto bene, chiuso com’è dentro il ruolo dell’ingenuo che paga per tutti. Le autorità militari alle quali Tejero faceva riferimento non sono ancora note. Tra queste c’era probabilmente il generale Milons del Bosch, un vecchio compagno, d’armi di Franco, nel novembre 75, in buon odore di golpe (allora comandava la divisione corazzata Brunete, di guarnigione a pochi chilometri da Madrid, e non passava notte che qualcuno non sentisse il rumore dei cingoli dei carri armati). Tejero è andato al telefono, e ha chiamato Valencia; lo si è sentito dire: «Tutto in ordine, mio generale, tutto come previsto». Non si sa cosa abbia risposto il vecchio franchista, ma la registrazione della telefonata è nelle mani del Governo.
Subito dopo la telefonata, Milans del Bosch ordina il coprifuoco nella regione che è sotto il suo comando e proclama di assumere «ogni potere per garantire l’ordine in attesa delle decisioni del re». Il re, queste decisioni le fa conoscere all’una e un quarto della notte con il messaggio letto alla tv; ma Milans del Bosch se ne accorgerà soltanto alle 6 del mattino, quando ordinerà il rientro delle sue truppe in casema. Perchè tanto ritardo? Un’altra domanda: ma a chi altri faceva riferimento Tejero? Tra le sue telefonate, registrate dal governo, ce n’è una alla famiglia: gli passano una figlia, questa piangendo gli dice: ”Papà, lascia tutto, arrenditi, i tuoi due amici ti hanno lasciato solo”.
Chi sono questi «due amici»? La notte passa stancamente. Superati i primi attimi drammatici, fra deputati e guardie civile che li controllano comincia anche un briciolo di dialogo. «Molti di loro sono stati ingannati —dirà poi una deputatessa — gli avevano assicurato che andavano a liberare le Cortes da un commando dell’Eta». Qualcuno tira fuori di nascosto una radiolina, e incominciano a circolare notizie sottovoce. Una guardia civil dice che Milans del Bosch è stato nominato presidente di una giunta militare, che deve salvare il Paese dal terrorismo. Anche Tejero chiede la costituzione di una giunta. All’Hotel Palace, che sta di fronte alle Cortes, arrivano intanto Il capo della guardia civil Aramburu Topete, e il vicecapo di stato maggiore, generale Armada.
Comincia un negoziato per telefono. La radio e la tv vengono occupate per un quarto d’ora da un reparto dell’esercito, si iniziano a trasmettere marce militari, Poi il maggiore si ritira! con tutti i suoi uomini. Forse è lo stesso che ricompare attorno alle Cortes ed entra al chiacchierare con TeJero.Si fermerà tutta la notte.
Ieri i comandi militari hanno detto che è stato arrestato, «Unico militare finora». precisano. La trattativa va avanti, TeJero si accorge di essere rimasto davvero solo, Attorno alle Cortes si piazzano le «teste di cuoio» spagnole, ma non interverranno. Dentro il palazzo c’è qualche battibecco. Suarez, i socialisti Gonzalez e Guerra, il comunista Carrillo, Gutierrez Mellado e il ministro della Difesa Sahagun vengono isolati, La calma del Paese è evidente, e prevale la ragione. I generali alle 10 del mattino vanno a piedi dall’Hotel Palace alle Cortes e convincono Tejero. Prima escono dieci deputatesse, che accettano di lasciare l’emiciclo «solo per poter tranquillizzare le famiglie di tutti i parlamentari». Poi una ventina di guardie civil si lasciano calare da una finestra del primo piano. C’è quindi la partenza di Tejero, le altre 200 guardie Civil sono caricate su tre autobus, infine i deputati. Prima ‘di lasciarli uscire, il presidente delle Cortes dice: «Convocazione In seduta plenaria domani pomeriggio alle 16,30». Sembra di essere in Inghilterra. Qualcuno applaude.
Il pomeriggio vola via. Riunione straordinaria del Consiglio del ministri alle due e mezzo; alle tre e mezzo il re riceve tutti i leader politici; uno alla volta; alle quattro e mezzo Reagan gli telefona per congratularsi; alle cinque e mezzo si riunisce la giunta di difesa nazionale; alle otto e mezzo viene comunicata la notizia che «è atteso d’urgenza a Madrid il generale Milans del Bosch», Ora forse comincia il bello.
Qui la ricostruzione del giorno dopo, sempre su “La Stampa”
Da LA STAMPA del 25/2/1981 Mimmo Càndito.
MADRID — All’una e dodici minuti di ieri notte, anche se le Cortes restavano occupate, gli spagnoli hanno compreso che il golpe era ormai fallito, e se ne sono andati a letto. La giornata non è stata nemmeno lunga: la Spagna ama far tardi la sera, e la tv — che alternava il notiziario a filmetti distensivi — è rimasta sempre accesa. In giro non c’era mobilitazione, il golpe ha finito per essere uno show. Il fantasma che per cinque anni aveva accompagnato la storia di questo Paese, una volta apparso si è perduto dentro lo schermo televisivo.
All’una e dodici, poi, la programmazione è stata interrotta per «un messaggio del sovrano alla nazione». Una lettura breve, neanche 5 minuti. Il tono era calmo, le frasi rassicuranti; poi c’è stato l’inno nazionale, ed è riapparso il bel faccione di Bob Hope. A quel punto, tutti hanno capito che ormai era l’ora di spegnere, la democrazia era salva. Ma accanto a questa storia che la Spagna ha vissuto con qualche imbarazzante indifferenza, ce n’è anche un’altra, una storia parallela, che ancora non è stata raccontata e che i filmetti e le canzoni della tv hanno lasciato nell’ombra, E’ una storia che passa per i cortili di qualche caserma di Madrid, tra l’assalto del colonnello Tejero alle Cortes e l’apparizione di Juan Carlos sul piccolo schermo televisivo: in mezzo, c’è un intervallo di quasi 7 ore. E’ un tempo troppo lungo, che lascia aperto un vuoto di silenzi, di ambiguità e di movimenti segreti di reparti armati. Manca un uomo, insomma, un nome: l’uomo di Madrid. Chi è, dov’è, quale segreto lo nasconde? Non pare esagerato pensare che il re e i più alti ufficiali delle Forze Armate sappiano dare una risposta a queste domande. In quelle 7 ore, quest’uomo ha abbandonato Tejero alla sua sorte, e il golpe è finito. IL re, allora, ha potuto presentarsi alla tv per il messaggio di chiusura. Indossava la divisa di capitan general dell’esercito e sedeva al suo tavolo di lavoro, teso e un po’ pallido. La voce non gli ha tremato, era anzi rassicurante, corretta; ha avuto solo un piccolo attimo di sbandamento e ha deglutito con forza. Poi ha continuato: «La corona, simbolo della continuità e dell’unità della patria, non può tollerare, in nessuna forma, azioni e atteggiamenti di persone che pretendano d’interrompere con la forza il processo democratico che la Costituzione, votata dal popolo spagnolo, ha sancito nel giorno della sua nascita attraverso il referendum».
Le persone che, in quel momento, avevano questa pretesa d’interrompere ti processo democratico erano ormai soltanto due; il colonnello Tejero, chiuso con duecento guardie civili nel palazzo del Parlamento, e il generale Milas del Bosch, che a Valencia aveva decretato lo stato d’assedio e il coprifuoco dopo aver occupato la città con carri armati e mezzi blindati. Ma Valencia dista da Madrid più di 350 chilometri, e in mezzo c’era un Paese calmo e tranquillo, addirittura fin troppo tranquillo. Le speranze dei golpisti non avevano più storia. Non era sembrato così, invece, alle 18,20 di lunedì, quando cinque o sei raffiche di mitra avevano bloccato nel gelo di un silenzio atterrito ogni rumore delle Cortes. Lo speaker stava facendo l’appello nominale per il voto di fiducia al nuovo governo; aveva già chiamato 75 deputati, 44 sì e Ji no. Ora era il turno di Manuel Nufiez Encabo, ma il deputato Nuflez non ha potuto votare. Un colonnello della Guardia Civil, con la pistola in pugno, era entrato furiosamente nell’emiciclo del Parlamento e saliva a grandi passi verso lo scanno della presidenza.
Nel silenzio, gli hanno fatto seguito raffiche di mitraglietta verso il soffitto. Sono stati attimi drammatici. La paura era generale, evidente. Un solo uomo ha reagito senza lasciarsi intimidire neanche un attimo, un vecchietto smilzo e bianco di capelli, con gli occhiali scuri: è l’ex tenente generale Gutierre Mellado, vicepresidente del governo e incaricato della Difesa nazionale, E’ l’uomo che in tutti questi anni ha garantito alla Spagna democratica l’obbedienza delle Forze Armate ai principii della Costituzione, e quando Tejero è arrivato nel centro del salone con la pistola puntata, il vecchietto gli si è lanciato addosso, richiamandolo alla disciplina e all’ordine. E’ stato allora che le guardie civili hanno sparato le raffiche, e tutti si son fatti zitti.
«A terra, tutti a terra», ha gridato ancora Tejero, e in un secondo l’emiciclo è apparso come deserto, con i deputati ormai invisibili, ben nascosti sotto i banchi. Gutierrez, invece, è andato a sedersi, calmo, spingendo via due soldati che lo prendevano per le braccia. Poi è rimasto immobile al suo posto, guardando fisso Tejero. Accanto a lui, il solo a rifiutare di buttarsi a terra è stato Suarez; l’immagine mostrava un gran vuoto, con due piccole figure chiare perdute nel fondo scuro dei banchi. La ricostruzione di questa drammatica sequenza non è artificiale, ma viene da un eccezionale documento trasmesso solo ieri pomeriggio (dopo la fine del golpe) dalla tv spagnola. Il filmato è ricavato da una telecamera automatica sempre in funzione all’interno delle Cortes, per registrare quanto sta accadendo in sala. I golpisti avevano fatto staccare le cineprese che stavano filmando in cronaca diretta la votazione, ma hanno trascurato (o piuttosto l’ignoravano) la ripresa automatica.
Il filmato è impietoso, di una crudeltà estrema. Forse saranno queste immagini che riusciranno a dare agli spagnoli, alla fine, il senso reale della tragedia che stavano per vipere; l’emiciclo dei banchi vuoti è agghiacciante, le prime teste che cominciano a venir fuori, lentamente, paurosamente, si vedono dopo cinque o sei minuti. E’ una sequenza eterna, un’attesa che sembra non debba finir mai. «Abbiamo avuto paura — ha detto un giovane deputato socialista all’uscita delle Cortes, quando tutto era finito — una grande paura, per noi e per la democrazia». Ma alle due di ieri notte, subito dopo il discorso del re, già un giornale usciva in edizione straordinaria. Il titolo a tutta pagina diceva: «Fracasò el golpe». In mezzo ci sono 7 ore di spettacolo, la storia oggi forse si fa così.