Il professor Cándito

La prima volta che fece il suo ingresso nell’aula al primo piano del palazzo Lionello Venturi in via Verdi (ex Offidani, come lo chiamavamo allora, all’inizio degli anni Duemila), sembrava talmente alto e grande da coprire tutta la luce della porta. La pelle scura, addosso quasi sicuramente una giacca color sabbia dalle molte tasche, che gli avremmo comunque visto indossare molte volte in seguito. Mimmo Cándito, il professor Cándito, è entrato in questa maniera nella mia vita e in quella dei miei compagni di corso della facoltà di Scienze della Comunicazione. Una facoltà che all’epoca sembrava ti infilasse in tasca le chiavi per aprire tutte le porte del futuro e che invece, vista a posteriori, si è rivelata un’affascinante infarinatura di tutto (dagli aspetti più umanistici a quelli più tecnici), ma pur sempre un’infarinatura. In mezzo a tanti corsi che spesso faticavano a lasciarti qualcosa, a parte il voto sul libretto, il corso del professor Cándito fin da subito si è però rivelato un qualcosa di unico. Al suo pari, direi solo quello del professor Paolo Murialdi, decano del giornalismo italiano e titolare della cattedra che ne raccontava la Storia.


A Cándito era invece affidato il corso “pratico”, quello che doveva attualizzare situazioni e condizioni spesso apparse ai nostri occhi solo nei film, in maniera romanzata. Eppure fin dalla prima lezione il professore ci trasportò nel suo, di romanzo, nella sua carriera di giornalista spesso al fronte, a raccontare dolori e sofferenze, ma mescolati sempre alla grande umanità che lo pervadeva e che animava anche i colleghi (spesso stranieri) di cui amava circondarsi. Storie di alberghi al limite dell’abitato umano, di trasferimenti rocamboleschi, di amicizie e di piccoli eroismi, pur di portare a casa una notizia, un racconto. E di un umorismo quasi sfrontato, a esorcizzare il rischio di non tornarci più, a casa: “Come quella volta – ci raccontò – che inviati al fronte insieme ad altri colleghi fondammo la SAS”. Silenzio in aula. E lui: “No, non la Special Air Service britannica. Per noi, stava per Salutame A Sorreta”.


Da lui, ho appreso una delle regole auree del mestiere che poi è diventato anche il mio: “Una notizia si racconta meglio attraverso una storia. E una storia si racconta meglio attraverso una persona”. Non ho mai fatto il reporter di guerra, ma è uno degli insegnamenti che ancora oggi porto con me, spesso senza rendermene conto.
Il giorno che furono il suo voto e la sua firma, a finire sul mio libretto, mi guardò in faccia dopo una risposta non proprio agile alla sua ultima domanda. Mi disse: “Sa, Sciullo? Non sono sicuro che lei questa cosa l’abbia saputa per davvero o se mi sta soltanto sollevando un gran polverone. Ma diciamo che non ho intenzione di indagare oltre”.
Sul suo viso si allargò il solito sorriso buono. Io respirai profondamente per lo scampato pericolo.

Massimiliano Sciullo
Nato a Torino il 5 aprile 1978
Laureato in Scienze della Comunicazione nel 2003
Scrive tutto quello che gli capita sotto mano
Attualmente redattore di Torino Oggi, caporedattore di 24 Ovest e collaboratore di Repubblica