Bio

Mimmo Càndito, giornalista, reporter di guerra, analista, scrittore di libri, saggi e avventure giornalistiche, è stato un uomo di mille interessi e altrettante attività.

Direttore per 18 anni dell’”Indice dei libri del mese”, fu oggetto di una tesi di laurea proprio per il taglio che aveva dato al mensile. Era un professore universitario assai amato dai suoi studenti, prima a Genova, poi a Torino fino alla scomparsa: cercò di organizzare gli esami per i suoi ragazzi ormai sul letto dell’ospedale. Fu pianto, e rimpianto.

Ma è soprattutto stato per quarant’anni una delle firme di punta del quotidiano La Stampa, sulle cui pagine ha raccontato le più drammatiche crisi che accendevano il mondo. Medio Oriente, Afghanistan, Pakistan, Iran, Iraq; tutta l’America Latina, con sei mesi di permanenza in Argentina durante la guerra delle Malvine del 1982. Ha seguito le tribolazioni dell’Africa il Maghreb, il dramma dei Tutsi e degli Hutu in Rwanda, l’Asia. I suoi reportage sull’Australia attrassero l’attenzione del presidente Cossiga, che se li portò dietro durante una visita ufficiale nel continente. Raccontò nell’80 il terzo colpo di Stato in Turchia, fuggendo a piedi dal villaggio turistico turco dove si trovava in vacanza proprio in quel momento. Viaggiò l’India, aspettò per 40 giorni a Madrid la fine di Franco in Spagna, fu randellato dalla polizia alla prima manifestazione post franchista a Barcellona, ricavandone una commozione cerebrale. Seguì i terroristi dell’Eta e dell’Ira. Andò a scoprire con un sertanista gli indios perduti nella foresta dell’Amazzonia e mai raggiunti prima dall’uomo bianco, come quelli del Perù che vivevano sulle chiatte di canne del lago Titicaca.

Pagine e pagine sulle quali ha dispensato la qualità di una scrittura tesa e affascinante, sempre alla ricerca della verità. A qualunque costo. E’ questo, in fondo, il mestiere di ogni giornalista che tenga fede alla propria missione. Non a caso, dal 1999 al 2018 è stato presidente italiano di Reporters Sans Frontières.
Ha condotto numerose serie di “Prima Pagina”, trasmissione assai seguita la mattina su Rai Radio 3, guadagnandosi ascolti eccezionali e un ricordo durato nel tempo da parte degli ascoltatori.
Raccontava storie drammatiche, tracciava paralleli tra storia e continenti in modo piano e comprensibile, con straordinaria efficacia. Metteva sempre l’uomo in primo piano. Un oratore affascinante, che ha lasciato il segno ovunque fosse invitato a tenere conferenze. Era anche appassionato di fotografia, non ne parlava molto, ma ha fissato molti documenti interessanti delle sue esperienze di viaggio, che diventeranno ora oggetto di una mostra itinerante nei licei italiani.

Ha vinto i principali premi giornalistici della fine del secolo scorso, il Max David e il Luigi Barzini; nel 2017 è stato protagonista della prima edizione del Premio Leviti di Sky per gli inviati di guerra.

Mimmo Càndito non è stato un uomo di potere. Pure nella sua squisita gentilezza era una persona franca, che non tollerava sotterfugi, traffici, menzogne. Non era neanche un uomo da salotti. Il potere ne diffidava, la tv lo invitava raramente. Non sono mancate discussioni con qualche direttore, al termine delle quali è stato talvolta ridotto a lungo al silenzio sul giornale; una volta fu accusato di essersi inventato il diario di un soldato iracheno al fronte: si amareggiò, si infuriò e tornò sbattendo il diario sulla scrivania del direttore.

Mimmo Càndito è stato anche un grande sportivo, nella sua giovinezza a Reggio Calabria. Alto 1,92, con un fisico da Bronzo di Riace, si è cimentato con la corsa, il salto triplo, il basket. E’ stato campione di sciabola, ha portato la fiaccola alle Olimpiadi del ’60 nella sua città, e solo uno strappo muscolare durante gli allenamenti gli ha impedito di partecipare proprio all’edizione di Roma.

Che proprio a lui, grande sportivo e salutista-tutto-frutta, mai fumato una sigaretta in vita sua, arrivasse un cancro al polmone, è stata una beffa del destino. Metalli furono rintracciati in un suo vetrino all’ospedale Mount Sinai di Miami dove fu curato, operato e salvato nel 2005, ma non volle approfondire. Non era mai stato in Kosovo, ma è stato invece su tutti gli scenari di guerra, dal 1974 all’ultimo servizio del 2011 sulle tracce di Gheddafi fuggitivo. Pensiamo soltanto a tutti i conflitti iracheni, o all’ingresso che fece per primo nel Kuwait in fiamme, con un collega del Times, quando Saddam nel 1991 fece appiccare il fuoco ai pozzi petroliferi.

Ma Mimmo è stato soprattutto un grande essere umano, una persona retta che amava l’umanità, e che con grande spontaneità e generosità diffondeva in straordinarie affabulazioni le sue esperienze e il suo sapere infinito, coltivato nei viaggi fra le culture e nell’amatissima lettura, forse la sua passione più grande. Era un autentico divoratore di libri. Un “happy warrior”, un allegro combattente, anche nell’affrontare la malattia e la morte, senza mai un lamento.