A proposito di Mimmo
Patrizia Schiavone, leva 1969, ha avuto Mimmo Càndito come insegnante di Tecniche dell’intervista al DUG dell’Università di Genova e come correlatore della tesi di diploma finale. Lavora dal 1995 all’Ufficio Stampa del Comune di Genova, con una corroborante pausa di alcuni anni a creare laboratori di lettura e gioco alla Biblioteca
Di che grande giornalista sia stato Mimmo Càndito possono scrivere in tanti: di come sia stata la sua prima lezione da insegnante universitario lo sappiamo in pochi, ed è un ricordo che ci teniamo stretto. Una quindicina di aspiranti giornalisti, pieni di curiosità e dubbi, iscritti a uno dei primi diplomi universitari in giornalismo varati dall’Università italiana, di quelli ben presto spariti e trasformati nei vari corsi di scienze della comunicazione: parliamo del 1992, dell’Università di Genova e di un inviato speciale che, tra un reportage di guerra e un libro, accetta di inserire anche l’insegnamento tra gli impegni di una vita già ricca di esperienze e spostamenti. La materia si chiamava “tecniche dell’intervista”, ma in realtà avrebbe potuto chiamarsi, in modo molto meno ministeriale, “eccomi, ragazzi, sono qua per voi, chiedetemi di me, parlatemi di voi. E datemi del tu, che siamo colleghi”.
Le “tecniche” si traducevano, nella realtà delle lezioni, in racconti delle sue esperienze e dei rischi che aveva corso poche settimane prima seguiti, subito dopo, dalle sue domande su quello che avevamo noi da raccontare. Gli interessava soprattutto la nostra idea del “Mestiere”, voleva capire quanto fossimo consapevoli di aver scelto una strada che avrebbe potuto darci sicurezza economica, ma rischiando di toglierci tranquillità, comodità e qualche libertà tranne quella – per lui essenziale- di conoscere veramente fatti e persone, di essere coerente e onesti con noi stessi e con gli altri, di vivere con la schiena sempre ben diritta, davanti a chiunque. Ecco, dovendo sintetizzare direi che quello che ho imparato da Mimmo Càndito ha molto a che fare con l’Essenza del giornalismo e con i suoi valori, con i sogni, con le strategie per sopravvivere (e non solo in senso figurato). Ho imparato perché,nelle esperienze, è giusto buttarsi allo stesso tempo con entusiasmo, paura e consapevolezza, e anche che è sempre meglio mettere un giubbotto antiproiettile.
Ho imparato che “mestiere” è un termine bellissimo, fatto di fatica e tradizione, ma anche di voglia di stare al passo con il nuovo, a qualunque età, con curiosità e voglia di imparare. Che ci sono Giornalisti e giornalisti, non dipende dal nome della testata per cui lavorano né dall’anzianità di iscrizione agli albi professionali, ma dalla luce negli occhi quando, in modo quasi animalesco, fiutano una notizia. E, se devo immaginarmi un volto per quei Giornalisti, è ovviamente quello di Mimmo Càndito: che arrivava di corsa a lezione da Torino, ma si fermava oltre l’orario e perdeva il treno per finire di raccontarsi e di ascoltare, che ti parlava dei suoi inizi e non ti giudicava per aver fatto una scelta differente dalla sua e lavorare in un ufficio stampa.
È il volto di chi, stanco ma forte e sereno, ho incontrato vent’anni dopo, alla presentazione del suo ultimo libro; mi è venuto incontro ringraziando e subito dopo, in piedi col suo microfono davanti al pubblico, mi ha incantato ancora una volta, raccontando di battaglie e sfide da accettare e vincere, di forza e orgoglio, salutandomi alla fine con un sorriso e una dedica sul libro: “Abbiamo fatto la stessa strada. Qualcuno si è fermato, ma continuiamo sempre”.